Con lo scorrere del tempo, sempre più mi rendo conto della dimensione di Giovanni Spagnolli.
È una scoperta che continua.
Non parlo del politico, dell'economista, dell'amministratore della cosa pubblica. Altri l'hanno fatto e ancora lo faranno con cognizione di causa.
A me interessa dire dell'uomo e dell'amico. Perché noi eravamo amici e ancora lo siamo oltre il tempo, oltre le cose finite.
Spesso mi sono posta la domanda del come e del perché ci siamo incontrati. Da "quel" momento, pur fra tante diversità, penso di poter dire che abbiamo vissuto oserei dire in simbiosi.
Non so come Nino risponderebbe al "perché”.
Per parte mia posso solo esprimere qualche pensiero che mi viene in mente adesso, dato che non conosco la risposta e forse non esiste al perché ad un certo momento ti accorgi di essere amico e di avere un amico per sempre.
Penso che sia stata la Provvidenza a farci incontrare. Magari attraverso la comune passione, meglio il "pretesto" della montagna.
Molto semplicemente dirò allora che doveva accadere. Con Lui era bello dialogare. Scoprire identità di sentimenti. E accorgermi che ogni occasione di incontro era per me un momento di crescita.
A Lui non so se ho potuto dare qualcosa. So di certo di avergli dato il cuore. Penso che l'abbia intuito subito. Forse questa è la spiegazione più semplice e più vera. Era un rapporto da fratello a fratello. Privilegiato. Perché ad un amico ti riveli per certi versi come non faresti, a volte, con un fratello. E dicendo questo non tolgo niente ai miei fratelli di sangue.
Sono rapporti diversi.
Nino non era un ambizioso e per questo aveva capito che il mio affetto per lui non era mosso da quella che poteva essere la pur comprensibile ambizione di avere un amico tanto più grande.
Non erano molte le occasioni per incontrarci ma a me bastava sapere che lui esisteva e mi voleva bene.
Mi telefonava ogni tanto da Roma. Magari per dirmi che l'indomani sarebbe arrivato a Rovereto. Io ero lì ad attenderlo e mi onorava sedendo alla mia mensa non prima di aver preso l'iniziativa di una breve e semplice preghiera. A volte c'era anche Angela, la sua sposa, ed era una festa ancora più gioiosa. Così, quasi lo fossi stato da sempre, mi sono trovato "di famiglia" anche con Paolo, con Carlo e Giovanna, i Suoi figli meravigliosi e fortunati di tale esempio.
Quante volte ho avuto la gioia di starlo ad ascoltare. Il suo dire semplice e profondo ha di certo rafforzato la mia Fede. Perché Lui è stato soprattutto un uomo di Fede.
Mettermi a sua disposizione con la macchina, quando le occasioni lo permettevano, e portarlo dove lo reclamavano i suoi molteplici impegni era per me un motivo di ricarica e di serenità. Avevo la ventura di sedere accanto ad un Uomo grande, semplice e saggio. Un luminare, un esempio vivente di compartecipazione, disponibilità e servizio soprattutto verso gli ultimi, i poveri di spirito.
Uno di quei fari che, seppure con dolcezza, ti impongono un esame di coscienza. Uno che ti tende la mano e ti dice "vieni, camminiamo insieme". Ancora adesso mi giunge l'eco del Suo insegnamento. Io Gli posso dire soltanto "grazie". In attesa di ritrovarci di là dal muro. Per sempre. Poiché pur essendo in tanti siamo Uno solo.
Come allora, ancora adesso mi commuove il gesto di Angela che volle chiamarmi subito al momento che Nino fu colpito da ictus cerebrale. Perché lei aveva capito che eravamo parte l'uno dell'altro. Così mi apparve del tutto naturale, oltre che un bisogno del cuore, esserGli vicino fino al momento dell'ultimo respiro.