Il mio viaggio, o meglio il nostro viaggio, parte da Verona per arrivare in Burundi precisamente a Kamenge al Centre Jeunes Kamenge, Bujumbura. I miei compagni erano Veronica, Simone e Miryam. Per tutti era la prima esperienza in Africa e quindi la partenza è stata carica di aspettative e curiosità. Da parte mia avevo immagino molte volte questo continente e come sarebbe stato una volta arrivata, ma la realtà ha superato ogni immaginazione. Dopo 20 ore di viaggio ed una notte in bianco, i pensieri e le emozioni sono diverse, quasi rallentate. Una volta usciti dall'aeroporto siamo stati travolti da una quindicina di giovani che erano lì solo per noi, era il loro benvenuto! Forse in quel momento siamo stati sopraffatti, non ci aspettavamo un’accoglienza simile e non abbiamo apprezzato quel gesto fin da subito. Ogni volta che ora ci penso quel gesto mi ha fatto subito sentire accettata e più a mio agio con loro. Anche se durante i primi giorni la difficoltà della lingua era maggiore già ti sentivi parte del gruppo.
Per ambientarsi ci abbiamo messo un po'. Al centro la vita era tranquilla ma appena uscivi venivi immerso in un mare di gente che ti osservava, ti toccava e cercava una conversazione con te. Se per pochi minuti questo ti faceva anche sorridere, le prime volte dopo poco saliva il disagio e non capivi perché lo stavano facendo. Tu eri il diverso e quello era il oro modo per darti il benvenuto, per conoscerti e nei migliore dei casi diventarti amico. Non nego che per alcuni eri l'uomo bianco che veniva a portare qualcosa, a fare qualcosa e quindi si aspettavano da te più di quando noi eravamo in grado di dare. Soprattutto i bambini chiedevano caramelle cantando una canzoncina, ma un’esperienza da non fare è aprirne un pacchetto in una scuola!
Venivi a contatto con una marea di immagini e sensazioni che sul momento non riuscivi a rielaborare e forse non siamo riusciti a capirle fino a quando non ci siamo presi il tempo per pensarci e confrontarci tra di noi. Le strade erano per la maggior parte di terra battuta e con grosse buche dovute alle forti piogge e alluvioni recenti, solo poche erano di cemento o con bolognini. Su ognuna però la vita era frenetica, trovavi gente e bambini ovunque occupati o meno in tantissime attività, dai venditori ambulanti ai giochi con i cerchioni delle bici. Particolari erano i taxi tra tuc tuc, biciclette, mototaxi ed autobus decennali dovevi stare attenta alla tua incolumità. Le fogne erano un rivoletto d'acqua ai lati della strada con le ochette che ci facevano il bagno. Per le vie principali facevano da contorno al traffico le botteghe dei parrucchieri, farmacie, macellerie e bar quasi sempre pieni. Le scuole con aule lunghissime e classi che arrivavano fino a 140 bambini si riconoscevano non solo dalle strutture caratteristiche ma da questi bambini titubanti ma sorridenti tutti vestiti con la stessa divisa. In queste si facevano due turni di studenti, alcuni la mattina ed altri il pomeriggio. Le case basse e piccoline con le mura di mattoni di fango e tetti di lamiera avevano un cortile interno che raggruppava più famiglie dove i bambini potevano giocare e le donne cucinare. I nuclei famigliari non sono come i nostri ma comprendono le parti della famiglia che sono sopravvissute alla guerra, e ragazze madri che tornano a crescere il figlio a casa perché il compagno non può permettersi il matrimonio e nemmeno di poter dare da mangiare al figlio. Oltre alle persone per le vie si trovano capre, polli e qualche raro cane addormentato all'ombra. Il mercato l'ho trovato la parte più caotica ma più viva dei quartieri nord, è anche il luogo che abbiamo avuto più difficoltà ad ambientarci anche se ci andavamo spesso a comprare stoffe e pili pili. Gli odori del pesce, delle macellerie a cielo aperto e della verdura marcia, unito all'urina e alle strade strette in cui era difficile passare erano uno scenario difficile da vivere a da raccontare se non lo si vede.
In collina le cose erano differenti, l'accoglienza calorosa non mancava mai ma leggevi più diffidenza sui visi delle persone. Qui le cose erano diverse, le donne coltivavano i campi mentre gli uomini scendevano tutti i giorni in città per cercare di vendere anche poche banane. I bambini si facevano anche ore di cammino tutti i giorni per poter andare a scuola e le prospettive per il futuro diverse da queste sono ben poche.
In riva al lago Tanganica assieme a coccodrilli e ippopotami sono stati costruiti enormi e bellissimi resort ma per lo più vuoti!
Nel centro che ci ospitava le cose erano molto più definite e ordinate rispetto all'esterno, si svolgevano più attività durante la giornata e diverse di giorno in giorno. Ognuno se voleva poteva dare il suo contributo a qualche attività, sempre nel rispetto delle regole e degli altri. Nato poco prima della guerra è servito come punto di incontro, protezione e mescolanza tra le due etnie in contrasto. La zona dei quartieri nord era divisa in base all'etnia a cui appartenevi, per questo il centro è servito molto per far conoscere i ragazzi tra loro e portare un messaggio di pace, convivenza e non violenza. Questo posto è un’alternativa alla strada o ai bar dove i giovani passerebbero il dopo scuola, un luogo d'incontro e di svago anche per gli altri abitanti dei quartieri grazie a spettacoli che vengono organizzati quasi ogni settimana. Forma ragazzi consapevoli del mondo che li circonda, insegnando loro che un mondo di pace è possibile, la tolleranza e la convivenza non sono poi così difficili da ottenere.
La nostra fortuna è stata di poterci confrontare con giovani come noi, e di cose da raccontare ne avevano tante. Ognuno ci portava i suoi racconti ed era un modo per noi per poter capire meglio quale fosse la realtà, ma anche per lui per poter esternare cose di cui con i coetanei era difficile parlare. Lo scambio era reciproco, in quanto non solo loro ci raccontavano le loro storie ma erano molto curiosi di conoscere le nostre e quali erano le differenze. Da queste chiacchierate emergevano poi credenze e culture che aiutavano a cogliere in maniera più chiara le differenze tra noi. Nonostante tutti questi particolari divergenti la vicinanza con loro era reale ed è nata un’amicizia sincera con molti giovani, che grazie a facebook continua nonostante la distanza.
Purtroppo l'incontro non è sempre stato positivo ma in ogni situazione ne siamo usciti arricchiti.
Quello che molti di loro ripetono spesso è “non abbandonarmi e non dimenticarmi”. Da questo e da tante altre riflessioni nasce l'angoscia che ha accompagnato il ritorno, come possiamo aiutarli, cosa anche noi riusciamo a fare per loro. La risposta che ci han dato è semplice da realizzare, nel nostro piccolo noi possiamo far conoscere il centro in giro per il mondo. Possiamo e dobbiamo raccontare che esiste un posto che aiuta i ragazzi divisi da una guerra a crescere come fratelli, esistono giovani che nonostante non abbiano prospettive future credono che lo stare assieme poi possa cambiare le cose: cambiare uno stato corrotto, la paura di un’altra guerra imminente, l'odio razziale, la povertà e la fame. Quello che manca sono le basi per poter vivere in maniera dignitosa senza la paura di quello che può accadere a te ed alla tua famiglia, senza la paura che non ci sia un domani, ma quello che mi hanno insegnato è la speranza di poter cambiare le cose e credere che queste cambieranno.
Da questo viaggio sono tornata con molti pensieri e riflessioni, con la voglia di tornare in Africa e con un nuovo significato per la parola “aiutare”.
Laura