Giovanni Spagnolli può, a buon diritto, essere definito un “volontario della politica” perchè si considerò sempre un tecnico ad essa “prestato”, piuttosto che un politico di professione. A ben guardare, rari e sempre misurati e soprattutto improntati alla riconciliazione degli animi intorno alla visione del bene comune furono i suoi interventi nel corso dei numerosi e spesso tumultuosi Congressi della D.C., a fronte di ben più marcate e pragmatiche azioni nel corso degli incarichi che gli venivano proposti.
Ma fu un “volontario della politica” che nacque e tenne sempre in massima considerazione le fucine di pensiero e di azione rappresentate da associazioni e organizzazioni di volontariato aperte alla discussione ed alla realizzazione di soluzioni per la società.
Lo si ricorda, da ragazzo, socio del Circolo di San Marco e del Partito Popolare di Rovereto, insieme con suo padre Lodovico.
Passato a Milano, si impegna nella Azione Cattolica attraverso la FUCI, organizzazione degli studenti universitari cattolici fortemente avversata dal regime, il cui assistente, Mons. Montini, diverrà Paolo VI.
Dopo la approvazione delle leggi razziali fasciste, per lui ed per molti della futura classe dirigente del dopoguerra, diventa chiaro che bisognava scuotere le coscienze: quindi si impegna ad organizzare, tra rischi di delazione e retate, in quella Brianza dove mezza Milano è sfollata, conferenze e riunioni per costruire un futuro di libertà e fornire rischioso appoggio logistico per salvare ebrei e ricercati politici.
Fin da ragazzo è socio della SAT e del CAI e si appassiona a camminate ed ascensioni, possibilmente sulle montagne di casa, dove porterà anche i suoi figli fin da piccoli.
Dopo la parentesi milanese del dopoguerra, si trasferisce a Roma per occuparsi di ricostruzione delle abitazioni distrutte o fatiscenti (erano due milioni e mezzo le famiglie senza tetto!).
Quando gli propongono il seggio senatoriale a Rovereto ha già 46 anni ed una rilevante esperienza amministrativa, base pragmatica per la risoluzione dei problemi da affrontare e risolvere nei rilevanti incarichi successivi: da quelli finanziari, legati alle riforme fiscali del dopoguerra (la “Vanoni”) per passare ai problemi del traffico marittimo e dei porti (proprio lui, montanaro per passione e sentimenti!) a quelli della telefonia (codice di avviamento postale, teleselezione, con collegamento radio alle più sperdute frazioni ed ai rifugi montani).
Nei viaggi attraverso il Trentino, anche in comuni e frazioni isolatissimi, il suo obbiettivo è incontrare e farsi carico dei problemi della gente, sulla base di quello che definisce “spirito di servizio” per la comunità.
Dalla fine degli anni '60 è tra i primi a cogliere che lo sviluppo, tumultuoso nel periodo del “boom” economico, può snaturare le bellezze dell'Italia e diventa, anticipando molte sensibilità odierne, socio e forte sostenitore delle nuove associazioni come Italia Nostra o il WWF, ma sempre nella concezione che la protezione della natura, senza eccessi ecologisti, rappresenta un servizio all'uomo ed alle nuove generazioni.
I logoranti incarichi politici non gli impediscono di continuare l'impegno nel CAI, prima come consigliere e poi, dal 1971 al 1980 come Presidente. In questa Associazione, che rimane il suo principale impegno di servizio dopo il ritiro dalla vita politica attiva nel 1976, profonde le sue doti organizzative per rendere più libere ed autonome le sezioni regionali, per far riconoscere allo Stato il ruolo di servizio pubblico delle Guide e del Soccorso Alpino, per strutturare in precisi impegni l'anima protezionistica allora non ben evidente, per attirare ed appassionare i ragazzi attraverso la sezione giovanile.
Da sempre attento ed ospitale in famiglia, nei confronti di Missionari e Missionarie religiosi, in primis del cognato padre gesuita Giuseppe Zambon, per 29 anni in India, scopre ed apprezza laici illuminati a partire da Albert Schweitzer, che si occupa dei lebbrosi, al dottor Fortunato Fasana, medico in India, ai Coniugi Corti (brianzolo il dottor Piero, canadese di Montreal la dottoressa Lucille) che si sposano per iniziare, nel 1959, il primo Ospedale gestito da laici e lo sviluppano fino a diventare il migliore ospedale d'Uganda. In quest'ultimo si matura soprattutto la decisione del figlio Carlo di dedicarsi perennemente all'Africa e di sposare l'ugandese Angelina.
Non è casuale ed assume un profondo significato di continuità ideale con le Associazioni di volontariato internazionale che Spagnolli abbia completamente dedicato gli ultimi 4 anni della sua vita a cercare aiuti, sotto forma di denaro, farmaci, medicinali, attrezzature (dalla Croce Rossa, dall'Ordine di Malta, dalle singole ditte e dai campionari di medici amici), curandone con la moglie Angela Zambon la paziente selezione, quella che ora su larga scala impegna tanti volontari, e trovando tutte le possibili strade per la spedizione nell'Uganda martoriata di Amin Dadà.
Lo stimolo culturale, in lui già presente negli anni '70, quando proponeva le prime leggi sulla cooperazione internazionale di volontariato, è condensato nell'ultima scelta: già sofferente di varie patologie circolatorie, decide di impegnarsi accanto ai giovani dell'Associazione LVIA di Cuneo nel progetto di una “Università della Pace” che nasceva per capire le ragioni del sottosviluppo, per impegnarsi senza nulla togliere alla dignità del beneficiato, in sostanza per crescere nella capacità di aiuto vero, senza stupidi concetti di superiorità razziale: un luogo, insomma, per trovare soluzioni capaci di unire uomini di buona volontà attraverso i Continenti.
Rileggendo l'esperienza di Giovanni Spagnolli a distanza di 20 anni dalla sua scomparsa terrena, si può forse meglio capire il senso dell'impegno del figlio Carlo, ora in Zimbabwe, e di tanti altri generosi amici e renderci conto che la comprensione ed il ricordo di certe radici ideali sempre valide può dare nuova linfa anche all'impegno sociale nella nostra comunità ed alla apertura “della mente e del cuore” verso problemi vicini e lontani: lo scopo della nostra Associazione, che ne porta il nome.