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SebastianoLa Roberto Bazzoni Onlus nacque nel 2000 come risposta a una tragedia, così come tantissime Onlus nascono allo scopo di ricordare chi si è perduto e dare a chi rimane la possibilità di ricordare i propri cari.

Dopo la prima fase iniziale, immediata, in Kosovo (centro riabilitazione disabili), l’attività si espanse con iniziative importanti in Kazakhstan (orfanotrofio), Repubblica Democratica del Congo (ospedale) e Zimbabwe (lotta contro l’AIDS).
A seguito della decisione -obbligata- di cessare l’attività diretta, per i motivi già illustrati da Giuliano, è nata l’idea della fusione con la Associazione Spagnolli, con la quale esistevano da anni rapporti di fraterna collaborazione grazie al progetto “Un amico in più per fermare l’AIDS in Zimbabwe”, che ci alleggerì dell’onere dell’acquisto dei medicinali antiretrovirali per i malati di AIDS.

La decisione della fusione è stato un passaggio difficile e penoso nella vita della nostra Onlus e, insieme con gli amici della “Spagnolli”, lo abbiamo affrontato nel miglior modo possibile, nell’interesse di tutti coloro che beneficiano delle nostre iniziative.
Dal 2011 la ex RBO si dedicherà soltanto allo lotta contro l’AIDS in Zimbabwe. Per gli altri tre progetti “storici”, prendendo in considerazione il fatto che disponevamo di sufficiente liquidità per far fronte a tre anni di spese dei nostri progetti, abbiamo donato ai progetti in Congo, Kosovo e Kazakhstan la copertura finanziaria per i prossimi tre anni. Donazioni effettuate a dicembre 2010.

Il progetto principale, che è direttamente connesso a vite da salvare, cioè la lotta contro l’AIDS in Zimbabwe, verrà continuato al di là del nostro supporto finanziario, supporto che, sulla base dei dati attuali, copre cinque anni di spese prevedibili. La nuova Onlus assumerà il carico morale di far sì che le cure salvavita non saranno interrotte. È lo stesso impegno morale che i Soci della RBO accettarono il 3 dicembre 2001 quando decisero di avviare il progetto Zimbabwe. Attualmente il numero di pazienti affetti da AIDS in cura è di 2.000 circa.

Quindi, anche se in forme diverse, lo scopo basilare e generale della nostra azione, che è quello di aiutare e sostenere i poveri e gli ammalati, continuerà, grazie alla complementarietà delle due Onlus che si sono fuse il 26 maggio 2011. Ne abbiamo avuto la prova diretta in occasione della visita in Zimbabwe del maggio 2011, prova che ci ha confermato nella determinazione di continuare a fare del nostro meglio per migliorare e rendere ancora più incisiva la nostra azione umanitaria.


Cari saluti a tutti.
Sebastiano Bazzoni

Giuliano

Cari amici, soci , volontari e benefattori tutti,

Nello spirito di accoglienza e libertà di impegno che ci contraddistingue abbiamo sempre ritenuto, che al di là di ogni formalità, socio “di fatto” dell’Associazione fosse  chiunque a essa dedica tempo ed energie preziose. Per tale ragione, pur nel rispetto della norme a cui sono sottoposte tutte le ONLUS, alle nostre Assemblee Annuali abbiamo sempre invitato oltre ai soci, tutti i nostri volontari e benefattori, affinché fossero partecipi di ogni attività svolta e di come fossero impiegate le risorse raccolte.

In questi dieci di attività, come voi ben sapete, abbiamo realizzato molte più opere umanitarie di quello che i nostri sogni più ottimisti avrebbero potuto immaginare. E di questo credo che tutti noi dobbiamo essere consapevoli e giustamente contenti.

In particolare da alcuni anni, grazie alla collaborazione con la Associazione Roberto Bazzoni Onlus di Milano (RBO) e il Gruppo POLI REGINA siamo fortemente impegnati nel progetto umanitario “Un amico in più per fermare l’AIDS in Zimbabwe” che garantisce di fatto la vita a oltre 1500 ammalati di AIDS conclamato (per lo più mamme e bambini).

Ricordo che la RBO, grazie al sostegno dato a Carlo dal 2002 in poi, è stata pioniere nello sviluppo delle terapie antiretrovirali in Zimbabwe, salvando inizialmente da morte certa numerose infermiere dello staff Guidotti Hospital e in seguito (grazie alla diminuzione dei prezzi dei medicinali) migliaia di mamme e bambini ammalati di AIDS conclamato.

Attualmente grazie ai fondi generati dal concorso DuplicarD – POLI REGINA noi provvediamo ad acquistare le terapie antiretrovirali, mentre la RBO si è impegnata con un notevole sforzo finanziario nell’ammodernamento del Guidotti Hospital (impianto di pannelli solari per la fornitura di energia elettrica), nel mantenimento dello staff medico (integrazione degli stipendi), nel funzionamento dello stesso Ospedale (fornitura di carburante) e nel sostegno alimentare dello staff e dei pazienti. (acquisto di alimenti in loco).

Le nostre due Associazioni quindi da alcuni anni ormai lavorano fianco a fianco per sostenere le opere umanitarie in Zimbabwe che Carlo Spagnolli ci propone.

Al di là di questo, la storia della RBO ha toccato il nostro cuore fin dal primo momento.

Vedi in "Onorando la memoria" la voce "Roberto Bazzoni".

Nel corso del 2010 a causa di una serie di cambiamenti nel settore finanziario  internazionale nel quale si era molto sviluppata, la RBO si è trovata nell’impossibilità di mantenere la propria struttura organizzativa. Sebastiano e i suoi amici si sono trovati nella necessità di dover procedere alla chiusura della creatura alla quale tanto impegno ha dedicato da tante persone..

Permanendo vivo nei soci fondatori della RBO il desiderio di continuare comunque il proprio impegno nella solidarietà, abbiamo deciso di accogliere con tutto il nostro cuore la grande storia di solidarietà da loro realizzata in memoria di Roberto e del suo amico Antonio e procedere assieme con semplicità, generosità e autentico spirito di servizio in favore dei necessitati che incontreremo nel nostro cammino.

I Consigli Direttivi delle due Associazioni hanno quindi deliberato di procedere alla fusione delle due Associazioni a partire dal 1 gennaio 2011.

L’iter formale per raggiungere tale obbiettivo ha seguito una complessa procedura che si è felicemente conclusa il 26 maggio u.s.  quando il sottoscritto e l’amico Sebastiano (Presidente della RBO) hanno sottoscritto l’atto di fusione.

Questo atto, per noi innanzitutto è un gesto di amore e di stima verso amici con i quali da anni condividiamo con passione il cammino della solidarietà e riteniamo sia il migliore dei modo per garantire a nostri amici in Africa, alle nostre mamme e i loro bambini il nostro affetto e il nostro sostegno per gli anni futuri.

Fiducioso nella vostro comprensione e nel vostro sostegno anche per gli anni futuri, bonum diffusivum sui!

 

 

Giuliano Tasini

Con lo scorrere del tempo, sempre più mi rendo conto della dimensione di Giovanni Spagnolli.

È una scoperta che continua.

Non parlo del politico, dell'economista, dell'amministratore della cosa pubblica. Altri l'hanno fatto e ancora lo faranno con cognizione di causa.

A me interessa dire dell'uomo e dell'amico. Perché noi eravamo amici e ancora lo siamo oltre il tempo, oltre le cose finite.

Spesso mi sono posta la domanda del come e del perché ci siamo incontrati. Da "quel" momento, pur fra tante diversità, penso di poter dire che abbiamo vissuto oserei dire in simbiosi.

Non so come Nino risponderebbe al "perché”.

Per parte mia posso solo esprimere qualche pensiero che mi viene in mente adesso, dato che non conosco la risposta e forse non esiste al perché ad un certo momento ti accorgi di essere amico e di avere un amico per sempre.

Penso che sia stata la Provvidenza a farci incontrare. Magari attraverso la comune passione, meglio il "pretesto" della montagna.

Molto semplicemente dirò allora che doveva accadere. Con Lui era bello dialogare. Scoprire identità di sentimenti. E accorgermi che ogni occasione di incontro era per me un momento di crescita.

A Lui non so se ho potuto dare qualcosa. So di certo di avergli dato il cuore. Penso che l'abbia intuito subito. Forse questa è la spiegazione più semplice e più vera. Era un rapporto da fratello a fratello. Privilegiato. Perché ad un amico ti riveli per certi versi come non faresti, a volte, con un fratello. E dicendo questo non tolgo niente ai miei fratelli di sangue.

Sono rapporti diversi.

Nino non era un ambizioso e per questo aveva capito che il mio affetto per lui non era mosso da quella che poteva essere la pur comprensibile ambizione di avere un amico tanto più grande.

Non erano molte le occasioni per incontrarci ma a me bastava sapere che lui esisteva e mi voleva bene.

Mi telefonava ogni tanto da Roma. Magari per dirmi che l'indomani sarebbe arrivato a Rovereto. Io ero lì ad attenderlo e mi onorava sedendo alla mia mensa non prima di aver preso l'iniziativa di una breve e semplice preghiera. A volte c'era anche Angela, la sua sposa, ed era una festa ancora più gioiosa. Così, quasi lo fossi stato da sempre, mi sono trovato "di famiglia" anche con Paolo, con Carlo e Giovanna, i Suoi figli meravigliosi e fortunati di tale esempio.

Quante volte ho avuto la gioia di starlo ad ascoltare. Il suo dire semplice e profondo ha di certo rafforzato la mia Fede. Perché Lui è stato soprattutto un uomo di Fede.

Mettermi a sua disposizione con la macchina, quando le occasioni lo permettevano, e portarlo dove lo reclamavano i suoi molteplici impegni era per me un motivo di ricarica e di serenità. Avevo la ventura di sedere accanto ad un Uomo grande, semplice e saggio. Un luminare, un esempio vivente di compartecipazione, disponibilità e servizio soprattutto verso gli ultimi, i poveri di spirito.

Uno di quei fari che, seppure con dolcezza, ti impongono un esame di coscienza. Uno che ti tende la mano e ti dice "vieni, camminiamo insieme". Ancora adesso mi giunge l'eco del Suo insegnamento. Io Gli posso dire soltanto "grazie". In attesa di ritrovarci di là dal muro. Per sempre. Poiché pur essendo in tanti siamo Uno solo.

Come allora, ancora adesso mi commuove il gesto di Angela che volle chiamarmi subito al momento che Nino fu colpito da ictus cerebrale. Perché lei aveva capito che eravamo parte l'uno dell'altro. Così mi apparve del tutto naturale, oltre che un bisogno del cuore, esserGli vicino fino al momento dell'ultimo respiro.

bluCara amica e amico!

Nessun progetto economico, sociale e politico sostituisce quel dono commosso di sé di un uomo verso un altro uomo che è la carità, quel vero amore al destino dell’altro che spinge a farsi carico dei bisogni spirituali e materiali del prossimo, senza aspettare alcun tornaconto prossimo o futuro! Per questo motivo chiediamo il tuo sostegno perché la nostra opera non sia solo la nostra, ma il frutto del lavoro di tanti amici che desiderano cambiare il mondo con piccoli gesti di solidarietà.

Parlare del sen. Giovanni Spagnolli è, per me, un dovere di pietà filiale oltre che di giustizia. Giovanni Spagnolli era un amico di mio padre, un'amicizia nata nell'Associazione dei Giovani di Azione Cattolica della parrocchia di san Marco di Rovereto e in quella struttura educativa che era l'Oratorio Rosmini. Era un'amicizia di quelle che si costruiscono di affetto e di rispetto, come sempre dovrebbero essere le amicizie, ed aveva messo le sue radici negli anni eroici dell'Azione cattolica quando le squadracce del regime fascista menava i manganelli contro coloro che avevano il coraggio delle loro idee e che non dimenticavano che i valori dello spirito vengono prima delle ideologie e delle appartenenze politiche.

Fino al giorno della mia partenza per la missione del Burundi, non conoscevo personalmente il Senatore Spagnolli. Ne avevo sentito parlare in casa mia, lo conoscevo dai giornali, era un motivo di orgoglio cittadino, perché aveva raggiunto i posti di governo, ma tutto rimaneva dentro questi termini. In occasione della mia partenza per la missione del Burundi, iniziò una specie di collegamento che sarebbe durato poi per il resto della mia vita. Coincidenza di ideali? Penso proprio di sì, soprattutto se penso che finché ero in seminario a Trento e fino all'ordinazione sacerdotale i nostri cammini non si erano mai incrociati. Non era tra gli invitati della mia prima messa, malgrado fosse un'autorità della città. Pensandoci ora, a distanza di quasi quarant'anni, mi pare che al momento della mia partenza per il Burundi si sia prodotto una specie di fenomeno di risonanza, di sintonia di ideali che risvegliò una comunanza di ideali e di aspirazioni.

Infatti egli era amico, per la medesima ragione per cui lo divenne anche con me, anche di un altro missionario concittadino, Padre Mario Veronesi che, a sua volta, era amico di mio padre. In quell'occasione, estate del 1966, il Senatore mi avvicinò, volle conoscermi e mi disse, con grande semplicità e disponibilità, che se avessi avuto bisogno di aiuto, ogni genere di aiuto, egli era pronto ad attivarsi in ogni modo possibile. Concluse la conversazione dandomi un assegno, che io presi con riconoscenza, ma che, secondo me, sarebbe stato la conclusione di una cortese attenzione che non avrebbe avuto altro seguito.

Invece cominciò tra noi due una lunga comunanza di idee e di ideali che io comprendo oggi essere molto profonda e venire proprio dal suo cuore. Mi scriveva abbastanza di frequente in Burundi e oggi mi dispiace di aver cestinato quelle lettere in cui mi parlava della missione che sentiva essere anche sua, dei suoi figli impegnati a vario titolo e in vario modo nella missione in Africa, di un suo cognato anche lui missionario gesuita in India, del suo impegno politico per un mondo che doveva essere ricostruito sulle coordinate del Regno di Dio e, ovviamente, del suo impegno politico che egli sentiva fortemente come importante per un cristiano che voglia essere coerente con il battesimo. A quel tempo era capogruppo della Democrazia Cristiana al Senato, mi faceva puntuale relazione del suo impegno per salvare l'istituto matrimoniale dal divorzio e mi mandava anche copia dei suoi interventi nell'aula dei Senato. A quel tempo non ero particolarmente interessato alle controversie politiche italiane, ma la sua sincera convinzione mi conquistava e mi faceva rispondergli con lettere, lunghe e articolate, che erano però più il segno della mia ammirazione per lui che della mia partecipazione alle lotte che il partito propugnava. Ed egli mi rispondeva ribattendo ai miei dubbi e alle mie perplessità sulla maniera con cui la questione era dibattuta e portata avanti dalle forze democratiche di ispirazione cattolica.

Venni in Italia e, trattenuto a Roma alla direzione dei Missionari Saveriani, ebbi modo di avvicinarlo e di misurare la sua carica umana, sia in occasione della morte del mio Babbo che in altre circostanze meno dolorose. Venne qualche volta alla nostra direzione generale di Roma, senza scorta e senza quella pompa magna che gli spettava come Presidente del Senato della Repubblica, e si trattenne per la cena, discutendo fraternamente anche con gli altri missionari presenti alla direzione generale, dell'impegno dei cristiani nella missione. Quello che ammiravo in lui, e con me anche i miei confratelli, era la schiettezza della sua fede e le sue idee, veramente cristiane, sulla politica, sul dovere di fare politica, come forma della carità cristiana. Egli attingeva la sua dottrina, oltre che dalla dottrina sociale della chiesa, dall'eredità del Rosmini di cui era grande conoscitore ed estimatore. Leggeva costantemente “La Civiltà Cattolica”, e ogni tanto, con mia sorpresa e, devo dirlo?, con sconcerto da parte mia, me ne citava gli editoriali e gli articoli, specialmente quelli di p. Bartolomeo Sorge, che era il direttore di quella prestigiosa Rivista oltre che suo padre spirituale. Per vecchi pregiudizi, io ero abbastanza restio, se non addirittura scettico, nei confronti della rivista dei Gesuiti e devo riconoscere che cominciai a leggerla in modo sistematico proprio per la sua insistenza e più ancora per la sua testimonianza, trovandola nuova e aperta oltre ogni mia attesa o pregiudizio che fosse.

Ammirai la coerenza con cui si ritirò dalla carica di presidente del Senato, quando da parte dei vertici del partito si chiese un ringiovanimento delle fila dei parlamentari. Molto semplicemente si fece da parte, senza lagne e senza rivendicazioni, mentre altri, che glielo avevano chiesto, rimasero, per lungo tempo ancora, attaccati ai loro posti, come mi fece notare la sig. Angelina, sua moglie.

Dopo il suo ritiro entrò in un altro genere di impegni: aveva il pallino del laicato missionario e, in particolare, dell'impegno dei volontari nella missione ad gentes . Avendo i suoi figli preso la strada della missione, come volontari e medici, egli era visibilmente coinvolto in questo campo allora molto praticato. Ma vedeva anche tutto il rischio che il volontariato correva di mettersi su dimensioni parallele e non convergenti con la missione della chiesa. Non perdeva occasione per ricordarmi che la missione era unica, ma che proprio per questo aveva bisogno di una pluralità di interventi e di impegni, perché, diceva, la chiesa non la possono costruire solo i preti e le suore. Mi ricordava, in modo tanto garbato quanto chiaro, i limiti della nostra maniera di essere missionari: quelli erano gli anni in cui, grazie al magistero conciliare e postconciliare, la missione ad gentes era in cantiere, in via di rinnovamento, per liberarla dai residui del colonialismo, per rilanciarla in una nuova prospettiva, che la facesse diventare meno clericale e più cattolica!

Sentivo nelle sue considerazioni gli echi delle idee di Giovanni Lazzati, indimenticabile Rettore della Università cattolica di Milano, suo maestro e coraggioso riformatore della chiesa. Il Senatore mi raccomandava con passione il dovere di sostenere il volontariato cristiano e laico, cercando una formazione cristiana e sociale autentica ai laici, oltre che ai preti, che andavano come volontari nelle missioni. Egli era convinto che questa era la strada non solo per una migliore missione ad gentes , ma anche per un rinnovamento conciliare dei laicato cattolico.

Almeno per due o tre anni, verso i primi anni ottanta, ricordo il Senatore, che partecipava alle riunioni della LVIA, dirigerne le riunioni abbastanza tumultuose e caotiche: “Ho guidato assemblee ben più disordinate”, mi diceva argutamente alludendo alle riunioni del Senato della Repubblica. In quelle occasioni mi invitava a parlare dello sviluppo inteso secondo gli insegnamenti della Populorum Progressio , l'enciclica di Paolo VI; mi ricordava, che non si poteva trattare di uno sviluppo qualsiasi, ma che doveva essere uno sviluppo pieno e integrale della persona umana, e affermava che era necessario evangelizzare il settore dell'economia che non può essere lasciato alle soli leggi del mercato. In questo anticipava temi e sensibilità proprie del nostro tempo segnato dal fenomeno della globalizzazione. Egli che era un economista di professione, sapeva bene quello che diceva.

Ripensandoci oggi, mi rendo conto di essere stato un privilegiato, di aver avuto la fortuna o, se vogliamo parlare da cristiani, la grazia di conoscere da vicino un uomo straordinario e un cristiano autentico di cui allora non ho potuto valutare in pieno la grandezza e di un uomo politico con la P maiuscola, di un uomo che aveva un'alta considerazione del bene comune della polis e che sentiva questo genere di impegni come un imprescindibile forma del suo essere uomo e cristiano, una forma della virtù teologale della carità.

Per questo volentieri e con fierezza scrivo queste righe a testimonianza del suo impegno politico da cristiano. Lo faccio soprattutto oggi mentre vediamo personaggi politici che fanno ostentata millanteria del loro essere (o del loro dirsi?) cristiani, mentre mi pare troppo facile professarsi politici d'ispirazione cristiana, e farlo soprattutto in vista delle elezioni, rifacendosi magari ad Alcide De Gasperi, per ricordarne la pazienza … Essere politici da cristiani è arte soprannaturale che non si improvvisa tanto facilmente! In Giovanni Spagnolli, come del resto in De Gasperi, vediamo uno di quei cristiani formatisi dopo la prima guerra mondiale e forgiatisi nel crogiolo dello scontro con il regime fascista; un cristiano che non aveva timore di mostrarsi in chiesa nel contesto feriale e non solo in occasione delle feste grandi o delle processioni solenni che sfilano sotto gli occhi dei potenziali elettori, ma uno di quei cristiani della messa delle otto del mattino, che vedevi sostare in chiesa in silenzio e accostarsi semplicemente al confessionale, come tutti, in una parola, uno che ci credeva. Questa è la scuola della politica autentica, fatta da cristiani con i principi del Vangelo e non solo con la benedizione della gerarchia.

E per questo reputo che tutti coloro che fanno parte di un'associazione che si intitola “Amici del Senatore Giovanni Spagnolli” sia un impegno di notevole spessore morale, una associazione che si è dato, con lui, non solo un modello valido e alto, ma anche un impegno per lo sviluppo autentico e solidale di quella folla di persone che sembrano non contare nulla nel concerto delle grandi nazioni del mondo. Per questi nostri fratelli e sorelle più poveri, anche se lontani, anche se incapaci di renderci il contraccambio, dobbiamo far rivivere la carità politica e l'impegno storico del Senatore Spagnolli, questo nostro indimenticabile Concittadino di cui non possiamo che andare fieri.

Rovereto, 7 agosto 2004


Gabriele Ferrari s.x.

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